REVIEWS
ITHACA/ITHAKI
 
Dopo un lungo periodo di inattività, torna finalmente a comporre l’arrangiatore milanese Dino Betti van der Noot, che tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 aveva firmato alcuni pregevolissimi album a carattere orchestrale. L’attesa viene premiata da questo altrettanto pregevole Ithaca/Ithaki, nel quale Betti riesce a superare l’impasse creativa con un album di abbagliante bellezza e profondità. Il tema del ritorno omerico, filtrato dalla poesia di Kavafis, si traduce in sapienti contrasti timbrici, nei quali gli archi si inseriscono in strutture aperte e cangianti, dai colori talora accecanti e a tratti chiaroscurati, fortemente evocativi di mar Mediterraneo. Grande la parata dei solisti e degli ospiti, con in evidenza il clarinetto basso di Gianluigi Trovesi, le percussioni di Luis Agudo e Don Moye, il vibrafono di Andrea Dulbecco, il pianoforte di John Taylor e molti altri prestigiosi solisti, come Sandro Cerino, Giancarlo Schiaffini, Ares Tavolazzi, ma la lista potrebbe proseguire a lungo.
Emozionante.
 
Giuseppe Gioacchini – Bresciamusic – giugno 2005
 
 
“Ithaca” è un “abbraccio al vento” , è un viaggio ad ali aperte, senza zavorre e senza limiti. È una “via di fuga” dalle nostre quotidiane pochezze; un’occasione preziosa di fantasia, che si adagia per un attimo, e senza vergogna, su dolci carezze sussurrate, ma che sa anche agitare il pensiero come un’ondata improvvisa od una ventata che butta tutte le carte all’aria. Imprevedibile e romantica, irrequieta e rivoluzionaria, dolcissima e cruda, per anime che non sanno cos’è la stasi.
 
Bruno Pollacci  – animaJazz – giugno 2005
 
 
I was very impressed, not only by the quality of the production and the musicianship involved, but certainly by the nature the music.
In this day where improvisation -- and often group collaborations -- seems to be most prevalent, it is rarer to find a “composer,” someone with a vision and the ability to create the sound of that vision.
I feel the music is ambitious, and reaches towards something which, as you say in your writing, is a different style for you. I think it reflects your individuality and personality.
I enjoyed the new colors you present in the instrumentation, and feel that the music is very theatrical... in a sense, I could imagine it to be part of a musicale, for example, interacting with dance and a dramatic mise-en-scene.
 
Art Lange – fall 2004
 
 
Il lavoro si sente tutto e il risultato è molto intenso – una combinazione originale del linguaggio dell’orchestra jazz moderna con i miti fondativi della nostra cultura.
 
Francesco Martinelli – giugno 2005
 
 
UN VIAGGIO TRA SIMBOLI E POESIA
C’è chi fa musica per mestiere e chi invece lo fa sospinto da un’autentica passione e solo nel momento in cui percepisce una vera urgenza creativa che gli nasce dentro: a questa seconda categoria appartiene Dino Betti van der Noot. L’idea di base è quella di un viaggio  musicale simbolico: il brano di apertura del disco, Ithaca/Ithaki, è ispirato alla poesia di Konstantinos Kavafis; Sidereal Waves ha in sé alcuni frammenti tematici del Kyrie eleison gregoriano della Missa de angelis, realizzando un misto tra la solennità della musica liturgica e il dinamismo del jazz di matrice europea; Acts of Love Are Forever è una composizione di forte impatto emotivo, di straordinaria bellezza melodica, che rappresenta in musica la convinzione a cui il titolo rimanda.
Un disco questo da ascoltare senza pause, perché il viaggio ha sempre una meta e Ithaca/Ithaki giunge a lidi impensati, con la grazia di una musica che non è mai scontata, anche grazie alla bravura di musicisti straordinari come John Taylor, Luis Agudo, Gianluigi Trovesi.
 
Stefano Corbetta – il Cittadino – 22 giugno 2005
 
 
Atteso e gradito ritorno di un instancabile ricercatore orchestrale. La cui ragionata scrittura non toglie poesia al cd. Anzi. Lo affiancano stelle come Trovesi e Luis Agudo.
 
Lorenzo Viganò – Magazine del Corriere della Sera – luglio 2005
 
 
Nuovissimo è il disco Ithaca/Ithaki, settimo disco – in quasi trent’anni e dopo un silenzio di sedici – di Dino Betti van der Noot, figura di rilievo a Milano nel mondo della pubblicità ma abilissimo leader nel navigare, con ambizioni mai minori, nel fiume del jazz. Un “suo” personale jazz, va detto: denso di lirismo, ideato con estrema raffinatezza, e non soltanto sul piano della composizione, ma anche nella scelta di timbri atipici (dall’elettronica all’arpa celtica) e di forti equipaggi; qui è la volta di Don Moye, John Taylor, Trovesi, Schiaffini e altri par loro.
L’elaboratissima orchestra di Dino Betti impiega mesi per creare i suoi eccellenti dischi (spesso premiati dalla critica, perfino oltre Atlantico), ma poi si dissolve per anni.
 
Gian Mario Maletto – Il Sole 24 Ore – 5 agosto 2005
 
 
Dopo il “dramma” (assai relativo) da pagina bianca ha ritrovato l’ispirazione, riunito molti campioni italici e non (Don Moye, Schiaffini, Dulbecco, Tavolazzi, John Taylor, Tononi, Trovesi ecc.), dato infine alle stampe un nuovo capitolo della sua musica corposa, collettiva sul serio, ricca di sfaccettature, anche se assolutamente nel solco di una tradizione che da Ellington arriva almeno sino a George Russell. Una scelta stilistica che in Betti non è certo da considerare un limite.
 
Pier Carlo Poggio – Blow Up – settembre 2005
 
 
La nuova produzione discografica di Dino Betti è comunque un avvenimento, visto l’intervallo di tempo che è trascorso dall’ultima volta che le sue composizioni si sono fatte catturare in una sala di registrazione. E non solo agli smemorati è opportuno quindi ricordare che la precedente prova si intitolava “Space Blossoms” e in quel 1989 chiudeva un ciclo iniziato quattro anni prima con “Here Comes Springtime” (in mezzo “They Cannot Know” e “A Chance for A Dance”). Nei tempi e nei modi a lui più congeniali betti ha deciso che era venuta l’ora del ritorno. La big band che ha riunito per dare corpo alle sue nuove partiture è di assoluto valore (qualche nome a caso: Agudo, Schiaffini, Trovesi, Don Moye, Visibelli, Taylor, Zitello, Tononi). Non potrebbe essere diversamente, tenuto conto che Dino chiede ai suoi strumentisti di collaborare fattivamente alla creazione del brano e dunque necessita di gente all’altezza. Non è una novità nel jazz e si finisce sempre con il citare Ellington e i suoi fuoriclasse. Però a noi il paragone che viene in mente è piuttosto con il “lavoro sull’attore” attuato dal regista inglese Peter Brook. Le composizioni di Betti hanno infatti una struttura narrativa, uno sviluppo “teatrale” ben preciso che procede con continui cambi di scena e sulla scorta di un bilanciamento esemplare tra suono d’assieme e interventi solistici.
 
Pier Carlo Poggio – Audioreview – settembre 2005
 
 
Suite greca
Lungo viaggio di Dino Betti van der Noot
Era molti anni che Dino Betti van der Noot non dava, jazzisticamente parlando, notizie di sé: quattro dischi tra il 1985 e 1989 e poi il silenzio, “una sindrome da foglio bianco”, come racconta in una lettera a Ira Gitler, l’estensore delle note di copertina, alla quale “sembrava non ci fossero vie d’uscita”. Invece all’inizio dell’estate 2002 il ritorno alla composizione con un tema, My Constant Thought, scritto pensando al clarinetto basso di un sempre più monumentale Gianluigi Trovesi e al flauto basso di uno straordinario Sandro Cerino.
Poi dal suo amore per il mare e per la Grecia è nata la lunga suite di sapore mingusiano che dà titolo all’album, Ithaca/Ithaki, in cui felicemente riaffiorano la pungente tensione fra orchestra e soli, tra parti scritte e improvvisate, così caratteristiche del suono di Dino Betti. Ne è nato un disco affascinante, come un lungo viaggio in cui la destinazione è importante quanto il percorso fatto per arrivarci: augurandoci che il vagabondaggio prosegua al più presto.
 
Danilo Di Termini – Diario – 16 settembre 2005
 
 
Trascorsi sedici anni dall’acclamato “Space Blossoms”, il compositore e direttore d’orchestra Dino Betti van der Noot ristabilisce un contatto con la realtà discografica dopo lunghe meditazioni sul ruolo della musica e sul suo complesso rapporto con essa. Lo spiega mirabilmente nelle note di copertina Ira Gitler, re dei critici americani, addentratosi perfettamente nella veste di commentatore dei fatti del maestro e di queste affascinanti musiche. Musiche dalle perfette e variegate movenze, dove i solisti interagiscono in modo decisamente funzionale alle estetiche del compositore. I lunghissimi ventidue minuti di Ithaca/Ithaki ben esplicano lo sviluppo della suite e del concept sul quale il lavoro s’impernia. I movimenti flessuosi del basso di Tavolazzi scivolano in splendidi modali o in dialoghi con un valoroso Dulbecco. Schiaffini, John Taylor, Trovesi, Tononi svettano altresì su una musica epica, sognante. Che emerge con forza, lievitando sempre più in alto, per poi placarsi nel parsimonioso e funzionale uso dei flauti. Jazz e musica classica si fondono per modulare un felice connubio tra fulgida poesia e creativa azione artistica. Le composizioni, costituite da più sequenze, da più “movimenti” stilistici, esaltano questo costante dualismo, reso qua e là più evidente con l’intersezione di voci narranti e cantanti, gli splendidi testi di Omero e Kavafis.
 
Gianmichele Taomina – Jazzit – settembre 2005
 
 
L’album è certo ambizioso, volendo presentare cose grosse anche se in maniera sottile e misurata: Ithaca/Ithaki supera i venti minuti e gli altri brani sono tutti tra i sei e i dieci minuti. Dal punto di vista melodico e armonico non presenta novità di rilievo, mantenendosi nell’ambito della tonalità anche se certi sostegni orchestrali sono densi e ricchi, e in qualche passaggio si muta il centro tonale; la concezione dell’arrangiamento classico da big band per sezioni contrapposte è invece sovvertita con l’ampliamento dell’organizzazione sonora non solo dal punto di vista temporale ma nel suo disegno complessivo, avvicinandosi ai modi della musica accademica moderna.
Vengono così unite parti diversamente impostate, con cambi di timbro, di tonalità, di dinamica, di ritmi, di intrecci e di atmosfere.
Le parti solistiche (di Trovesi, Schiaffini, Taylor, Dulbecco, Cerino, Tavolazzi…) hanno una parte importante nella riuscita dell’album: vengono fatte incontrare con quelle composte (che generamente dovrebbero fungere da sostegno) in modo da formare un intreccio di due parti che diventano una sola.
Un felice ritorno dopo aver licenziato quattro ottimi dischi dal 1985 al 1989, e poi silenzio.
 
Aldo Gianolio – Musica Jazz – ottobre 2005
 
 
Un lavoro a nome di Dino Betti van der Noot è un evento che più di qualcuno attende da quindici anni. Negli anni ’80 i suoi precedenti quattro dischi hanno ottenuto premi e riconoscimenti un po’ dovunque, anche grazie a un approccio al contesto della musixa per big band la cui originaità è evidente anche in quest’ultima fatica. Pubblicitario di professione “reale”, Betti van der Noot produce con questa nuova fatica qualcosa che probabilmente continuerà a dare qualche problema a chi non ama il genere, ma che va ascoltato anche se si è scettici sul “jazz” per grandi ensemble. La costruzione sonora non segue processi consueti o di consueto disponibili in quantità nel settore. Le aperture orchestrali cercano spazi sonori che spesso rifuggono i pieni, i fiati sanno dare forte impatto dinamico ma anche stare al loro posto, e al volume adatto, quando il percorso chiede alla musicalità e ad atmosfere più lievi di raccontare la musica. Ne risulta un viaggio fascinoso e molto ricco sul piano armonicoe soprattutto timbrico. A dare un contributo notevole per la bontà finale dell’opera pensano anche John Taylor, Famoudou Don Moye, Luis Agudo, le voci di Joyce Yuille e Paola Folli, e gente di casa nostra come Ares tavolazzi, Gianluigi Trovesi, Tiziano Tononi, Giancarlo Schiaffini, Andrea Dulbecco, Vincenzo Zitello. Lavoro non semplice ma di bell’effetto: si diceva “per molti ma non per tutti”.
 
Pierluigi Zanzi – Suono – ottobre 2005
 
 
Classico e lirico, torna dopo quindici anni di silenzio il grande Dino Betti van der Noot, pubblicitario di mestiere e jazzista per passione. In Ithaca/ithaki, il suo viaggio all’insegna di Kavafis vede per compagni strumentisti come Trovesi, Schiaffini, Tavolazzi, Tononi e Zitello.
 
Roberto Casalini – Io Donna – 29 ottobre 2005
 
Before Vicenza we stopped in Milan to visit for a few days with composer Dino Betti van der Noot and his family. His CD Ithaca/Ithaki had just been released on the Soul Note label and should be sought by anyone interested in beautiful music and new ways of presenting it within a large ensemble.
 
Ira Gitler – Jazz Improv – November 2005